09 dicembre 2006

Da Metrica esoterica di Gianky: canzone



So di un luogo dove biancheggia – l’aria.
Il sole ha smesso di ferire
come gemma – per non perire
ha baciato le creste bianche – dell’aria.
Una volta – anche io per non morire
ho preso la mia poesia
la metrica della poesia –
e come un flauto – ho deciso di partire.
Da tempo – per partire
avevo detto no! al paese
e in riva al fiume del paese
avevo strappato gli abiti e la vela
alla tempesta che attraversa – il Segno.
Forte – l’impeto della vela!
Un giorno vidi un muso
un cervo con un grande muso –
pensai: - Il Segno atteso! –;
mi tramutai – in acqua – in un pesce – offeso.

L’ossigeno mi giungeva più denso.
Ma che pensieri maestosi
tramonti meravigliosi
anche se emergevo da liquame denso!
Non so per quanto tempo – avrò nuotato
toccando con la pancia
il pelo della sabbia;
come la rabbia – restavo travisato.
Se il pelo s’è abbassato
con le pinne e con la mano
trascinando sempre la mano
ho guadagnato la ribalta della conca.
Ho visto dei marinai
gli scafi marci dei marinai;
i mulinelli di schiuma
degli scavi – al tramonto; rossa la schiuma.

Di notte – il fondale diveniva – freddo
un po’ malinconico;
un po’ nostalgico;
così – sospiravo nel mattino – freddo.
Gli spazi erano più ampli di un manico;
il liquido – sempre – più freddo
e nel buio – più – del freddo.
Poi – le prospettive si aprirono – nel viatico
abisso malinconico;
in alto – un piatto verde:
il sole – il mio prato – verde
dietro alle ombre – di pesci – in branco.
Nel mattino – del nuovo giorno
incerto e già stanco –
temevo quest’abisso
il mio scuro abisso
dal sapore salato:
la mia conchiglia – di fango – incrostato.

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