18 ottobre 2006

Un articolo di Vito Pinto: miti e luoghi della memoria di Francesco Agresti


Il poeta ebolitano racconta miti e leggende di un’antica terra greca.

L’ISOLA IMPOSSIBILE DI FRANCESCO AGRESTI

Ritorna ad Eboli, sua terra natia, il poeta Francesco Agresti; ritorna tra la sua gente raccolta ad ascoltare, nelle suggestioni della romanica chiesa di San Pietro alli Marmi, Davide Curzio e Anna Nisivoccia, voci recitanti di “Itaca, l’isola impossibile”, accompagnati dalle musiche originali di Rocco Vertuccio. Un appuntamento voluto di Maria Rosaria Forlenza, per ridisegnare i contorni di un rapporto tra il poeta e la sua città. Trait-d’union è un poemetto di respiro classico, dove il viaggio di Ulisse riprende dopo l’amato soggiorno con Circe. E subito i luoghi del mito salernitano si raccordano a quelli laziali: da una parte le sirene della costa, i filosofi di Elea, gli eroi di Paestum, il mito di Palinuro; dall’altra la maga Circe, figlia del Sole e dell’oceanina Perseide che da Ulisse ha partorito gli eroi fondatori del mito italico.

Ma non solo! I luoghi della memoria sono raccordanti, nell’immaginario di Francesco Agresti: le emozioni infantili delle colline ebolitane proseguono con quelle adulte sulle alture laziali. Ricorda il poeta “Quello che più mi attraeva da piccolo era il paesaggio che riuscivo ad abbracciare dalla Collina di San Giovanni. Da lì sopra si vedeva il mare, nitido e coinvolgente, sul cui orizzonte si stagliavano i templi di Paestum, che nella mia giovane fantasia rappresentavano due navi sospese tra il cielo e il mare. Poi, da adulto, sono stato affascinato dal Monte Circeo, le isole pontine, il panorama infinito che si ammira da quella sommità”.

Così, tra immaginifiche sensazioni, oltre a varie raccolte poetiche, ecco fare la loro comparsa prima “Il ritorno di Ulisse” e poi “Itaca, l’isola impossibile”. E sembra quasi che, per il poeta, più che impossibile questa sia l’isola sognata, l’isola che non c’è... non quella raccontata da sir James Matthew Barrie ma quella dipinta in ceramica da Guido Gambone.

Versi dove si ritrovano i luoghi della memoria! “Quando si scrive – risponde Agresti – si attinge, anche in modo inconscio, alla propria formazione, sia spirituale che letteraria. E resta per sempre, la terra natia, come luogo dell’anima. Nel mio immaginario infantile, la Eboli del dopoguerra era percorsa da un’atmosfera di magia, in cui aleggiava una grande speranza, che coinvolgeva uomini e cose. Vivevo in quell’atmosfera che mi caricava di energia vitale e mi faceva apparire il mondo come luogo di fiaba, in cui c’era soltanto posto per i giochi”.

Ecco l’isola sognata, l’isola che non c’è, che per il poeta, ormai adulto, nel viaggio di Ulisse diventa l’isola impossibile da raggiungere. Dice Ulisse a Circe: “io oggi affronto questo mare / armato solo di memoria, / con il ricordo di un fallito / poiché mai trovai la mia isola, / che pure tutti conoscevano... Isola sfuggente, mondo ignaro / tra aborrite geografie”.

Il poemetto di Agresti si sviluppa lungo i sentieri di un sommesso dialogo tra Circe e Ulisse: ed è colloquio d’amore e raziocinio. Con la mente Circe sa che è giunto il tempo in cui Ulisse parta per raggiungere finalmente la sua Itaca, ma il cuore le suggerisce di trattenerlo, ricordandogli i giorni e le notti dell’amore, “per proseguire, tra le rinnovate infanzie del mondo, quel cammino certo che non muore dietro l’onda breve del mattino”. Lui, il laerziade, astuto, prudente, equilibrato guerriero –così come si confà ad un re– guidato dalla dea, sa di dover partire: lo attende la sua isola, Penelope, il figlio Telemaco. Troppi gli anni della lontananza ma anche troppe le domande che si accavallano. Forse più che le sirene, dolce tentazione è la voce di Circe che nasce dal profondo dell’animo, senza malie che non appartengano all’amore. Quanto tormento in questo colloquio che il poeta lascia immaginare notturno. “E’ muto il paesaggio all’imbrunire” fa dire ad Ulisse nell’indirizzargli lo sguardo su un mare di cui l’eroe ne ascolta “la voce insonne / ricolma di geografie e di correnti / di cieli incerti e di marosi”.

Riaffiorano i vecchi valori, gli eroi, i miti, le leggende, la terra, la nostalgia della natura e quei templi antichi che si stagliano contro l’ultimo orizzonte “come navi sospese tra cielo e mare”.

Scriveva Dante Maffia di Francesco Agresti: “Questo poeta del Sud, con semplicità e in sordina, continua a regalarci i suoi doni di poesia senza rincorrere clamori inutili”.

Ma Eboli sta a guardare, come le stelle di Cronin, in attesa di un richiamo per ora rimasto inespresso sui crepuscolari crinali di antichi tragitti greci. Forse è Eboli, per Agresti, l’isola impossibile, anche se nel fondo dell’animo resta la visione rosea del mondo e della vita: “La poesia –dice- è una maniglia che può aprire le porte della conoscenza”. Un passaggio segreto s’apre nel cavo della notte.

Vito Pinto

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